L’abbiocco

Alzi la mano chi, magari proprio nel giorno in cui serviva essere al massimo della prontezza e della lucidità, non si è mai “abbioccato”. Il verbo dialettale “abbioccasse”, alla lettera significa “diventare una chioccia, covare le uova”. Questo perché la parola “biocca” anticamente veniva spesso usata come sinonimo di chioccia, per l’appunto.

Abbioccato significava perciò in origine “accoccolato, rannicchiato come una chioccia che cova le uova”, ma ben presto, per estensione, ha cominciato a voler dire “colpito da sonnolenza, assopito”. Per ulteriore estensione, in rari casi viene anche usato come sinonimo di “avvilirsi, deprimersi”.

L’abbiocco, dunque, è quel senso d’intontimento, di sonnolenza, spesso provocato da un pasto abbondante e non desiderato: “dopo pranzo m’è preso un abbiocco!”. Quello che poi porta spesso a cedere alla sonnolenza e ad assopirsi: “durante la pausa me so abbioccato sulla poltrona”.

A differenza di molte altre espressioni romanesche, l’abbiocco appare in forma scritta solo in tempi relativamente recenti e pare che sia comparsa le prime volte solo verso la fine dell’Ottocento.

C’è però da dire che può già vantare una letteratura di livello, con Pier Paolo Pasolini che usa spesso questa espressione nel suo romanzo “Ragazzi di vita”, come ad esempio nel passo in cui dice: “Se ne stavano abbioccate in silenzio, una rivolta verso l’altra, come se nemmeno si vedessero”.

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