Perché il monocameralismo di fatto è il sintomo di un sistema in crisi

Nell’attuale legislatura è particolarmente evidente il “monocameralismo di fatto”, cioè la prassi di discutere una proposta di legge in una sola Camera. Sono 360 gli emendamenti approvati dall’inizio della legislatura, di cui 257 alla Camera e 103 al Senato. Ogni Ddl è stato modificato in una sola aula. Il 93,6% degli emendamenti è stato approvato in commissione: è qui che si svolge il grosso del lavoro sui Ddl. Il Parlamento ha aggiunto 51 articoli ai decreti legge del governo e ne ha modificati 72.

[Questo post è stato pubblicato originariamente con licenza creative commons da Openpolis, una fondazione che raccoglie online dati sulle istituzioni, la politica e l’economia]

Sono ormai passati 4 mesi dall’inizio della XIX legislatura. Un periodo in cui le nuove camere hanno approvato in via definitiva soltanto 10 leggi. Un dato che, come abbiamo raccontato in questo articolo, è particolarmente basso se paragonato con i primi mesi delle precedenti legislature. Anche se su questo influisce certamente il fatto che l’attuale parlamento si è dovuto dedicare sin da subito alla legge di bilancio.

Ma c’è un altro aspetto particolarmente interessante che emerge dall’analisi di questi primi mesi. E cioè il fatto che per nessuna delle proposte di legge che hanno già concluso l’iter siano stati approvati emendamenti in entrambi i rami del parlamento.

La scelta di deputati e senatori, in accordo con il governo, è stata infatti quella di discutere eventuali proposte di modifica ai testi dei disegni di legge (Ddl) in una sola camera. Quella in cui il Ddl ha iniziato il proprio percorso.

Questa prassi, definita dagli studiosi “monocameralismo di fatto”, ha alcune conseguenze. Da un lato sicuramente consente di velocizzare l’iter di approvazione delle leggi. In questo modo infatti si evita il fenomeno della cosiddetta “navetta parlamentare”. Cioè la necessità che un Ddl torni alla camera che lo aveva già approvato per un nuovo voto sulle modifiche apportate dall’altro ramo del parlamento. Una pratica che va avanti finché entrambe le camere non approvano lo stesso testo.

Dall’altro lato però questa prassi evidenzia ancora una volta la crisi che sta attraversando il nostro sistema costituzionale. Con un parlamento sempre più svuotato delle sue prerogative.

Il difficile contesto in cui si muovono governo e parlamento

Come anticipato, dall’inizio della legislatura fino all’8 febbraio le leggi approvate dal parlamento sono state 10. Tali norme sono tutte di iniziativa governativa. Si tratta della legge di bilancio per il 2023 e in tutti gli altri casi di conversioni di decreti legge.

Nessuna norma ordinaria quindi ha concluso l’iter legislativo, così come non sono state varate leggi di iniziativa parlamentare. Questa modalità di legiferare, sempre più frequente negli ultimi anni, è almeno in parte addebitabile all’attuale contesto interno e internazionale.

Come noto infatti governo e parlamento sono entrati in carica a ottobre. Di conseguenza ci sono stati tempi molto stretti per l’approvazione della legge di bilancio, il cui iter doveva concludersi necessariamente entro il 31 dicembre. L’esame in commissione infatti è iniziato soltanto il 6 dicembre quando le norme prevederebbero l’avvio della discussione alla fine di ottobre. Per recuperare il tempo perso, le forze politiche hanno raggiunto un accordo per presentare emendamenti solo alla camera, primo ramo del parlamento a esaminare il Ddl. D’altronde la discussione in senato è iniziata il 27 dicembre, quindi non ci sarebbe stato tempo sufficiente.

Il fatto che le camere si siano dovute concentrare su questo fronte può peraltro contribuire a spiegare in parte perché non siano arrivate a conclusione altre leggi di iniziativa parlamentare. A ciò si devono aggiungere le numerose crisi che stanno caratterizzando questo periodo storico. Dalla guerra in Ucraina, all’aumento dell’inflazione e del costo di energia e materie prime, fino alle tragedie che hanno riguardato prima le Marche e poi l’isola di Ischia. Da qui la scelta di un massiccio ricorso da parte del governo ai decreti legge (Dl). Altra dinamica che tende ad accentuare il monocameralismo di fatto dato il limite di tempo di 60 giorni per la conversione in legge dei decreti.

D’altra parte c’è da dire che questo fenomeno è in corso da tempo, come evidenziano molti studi accademici. Certamente però in questa fase tale dinamica pare essersi accentuata in maniera significativa.

Gli emendamenti approvati

Una costante che accomuna tutte le leggi approvate finora infatti è che non si è mai verificato il fenomeno della navetta. Sostanzialmente quindi la seconda camera si è limitata a ratificare quanto già deciso nell’altro ramo del parlamento, senza apportare ulteriori modifiche.

Complessivamente le proposte emendative approvate dall’inizio della legislatura sono 360. Alla camera le modifiche accolte sono state 257, di cui 246 in commissione e 11 in aula. Al senato invece gli emendamenti approvati sono stati 103, di cui 91 in commissione e 12 in aula.

Occorre ricordare a questo punto che in alcune occasioni il governo ha posto la questione di fiducia sui provvedimenti in discussione. È successo per la legge di bilancio e per il decreto aiuti quater in entrambe le camere. E per il decreto rave a Montecitorio. Questo ha di fatto precluso la discussione e relativa votazione degli emendamenti presentati in aula.

In questi casi le proposte approvate sono quelle scaturite dal confronto in commissione. Fanno eccezione 2 emendamenti alla legge di bilancio che risultano approvati in aula. Questi però sono di origine governativa e contengono solamente alcune correzioni agli stati di previsione dei ministeri dell’economia, della cultura e dell’agricoltura.

Anche questa dinamica, sempre più frequente, contribuisce in maniera importante al monocameralismo di fatto.

A ciò occorre aggiungere che i tempi serrati sia per l’approvazione della legge di bilancio che per la conversione dei decreti legge in molti casi hanno portato alla mancata discussione degli emendamenti presentati.

 

Come sono cambiati i decreti legge

Se, come abbiamo appena visto, il parlamento ha avuto margini piuttosto ridotti per intervenire sui testi delle leggi approvate, questo non significa che tale possibilità sia stata preclusa del tutto. Anzi, gli interventi risultano molto evidenti rispetto alla modifica dei decreti legge. Salvo il caso del Dl sulla proroga all’autorizzazione dell’invio di armi all’Ucraina, tutti i decreti legge sono stati rivisti in maniera più o meno significativa. 

Nello specifico si tratta di 72 articoli modificati e 51 aggiunti. Per quanto riguarda i commi invece quelli aggiunti sono 121 e quelli modificati 130. Il provvedimento che è cambiato di più è il decreto aiuti ter (34 articoli modificati e 2 aggiunti). Seguono il Dl aiuti quater e quello sul riordino dei ministeri. Questa dinamica peraltro comporta ulteriori aspetti critici che vale la pena sottolineare.

Occorre prima di tutto ricordare però che il decreto aiuti ter era di iniziativa del governo Draghi. Per questo è stato approvato con un ampio consenso e l’astensione di Partito democratico e Movimento 5 stelle che all’epoca facevano parte della cosiddetta coalizione di unità nazionale. Il fatto che questo provvedimento fosse stato varato da un esecutivo non più in carica peraltro può aver agevolato i parlamentari nella presentazione e nell’approvazione di emendamenti.

Il decreto dell’attuale esecutivo più modificato dal parlamento è quindi il Dl aiuti quater ed è su questo che ci concentreremo. Tra le aggiunte fatte a seguito del passaggio in parlamento possiamo citare, a titolo di esempio, l’articolo 2-bis che prevede la proroga dei termini relativi al credito d’imposta per l’acquisto di carburanti per le attività agricole e della pesca. L’articolo 3-bis ha invece incrementato di ulteriori 150 milioni il fondo straordinario a favore di comuni (130 milioni) e città metropolitane (20 milioni) inizialmente istituito dal Dl 17/2022. Lo stesso articolo ha incrementato di 320 milioni anche il fondo per l’acquisto di carburante finalizzato a garantire il trasporto pubblico. L’articolo 4-bis invece ha introdotto una serie di disposizioni volte alla promozione del passaggio a combustibili alternativi per le aziende.

 

Alcuni aspetti critici sulle conversioni dei decreti

Le modifiche apportate al decreto in esame a seguito della discussione in parlamento peraltro non sempre sono state coerenti con il fine originale del provvedimento. Che, secondo quanto riportato anche dall’analisi fatta dal comitato per la legislazione della camera, era duplice. In primo luogo l’adozione di misure a sostegno della cittadinanza per contrastare il caro energia e in secondo luogo disposizioni in materia di finanza pubblica. Ambito che il comitato, citando anche la sentenza 247/2019 della corte costituzionale, considera comunque troppo ampio.

Tra gli articoli aggiuntivi, per citare alcuni esempi figurano: il comma 1-bis dell’articolo 13 che ha esteso da 3 a 5 anni la durata massima delle licenze dei diritti televisivi sportivi. L’articolo 14-bis invece va a modificare la legge 100/1990 in tema di operazioni bancarie al fine di favorire la partecipazione di operatori italiani a società ed imprese miste all’estero. L’articolo 14-quater infine interviene sulla disciplina delle imprese di assicurazione e riassicurazione.

Provvedimenti che evidentemente sono stati aggiunti “strategicamente”, in alcuni casi in accordo con l’esecutivo, ma che sono in contrasto con la natura dei decreti legge. I quali dovrebbero servire per affrontare situazioni di emergenza circoscritte con misure omogenee tra loro.

 

Il conflitto con la costituzione

Come risulta evidente da questo excursus, il monocameralismo di fatto contribuisce in maniera significativa a velocizzare l’iter di approvazione delle leggi. Una necessità che – senza tacere le storture del fenomeno – è stata riconosciuta anche dalla corte costituzionale e che si è acuita a seguito dell’esplosione dell’emergenza sanitaria legata al Covid-19.

Dall’altro lato però questa prassi tende a svuotare sempre di più le prerogative del parlamento. I cui margini di manovra sono sempre più ridotti rispetto alla volontà dell’esecutivo. Se è vero che è normale uno stretto rapporto tra il governo e la maggioranza che lo sostiene è anche vero che la costituzione, all’articolo 70, prevede che le 2 camere esercitino il potere legislativo “collettivamente”. Da questo punto di vista, nel dibattito accademico si è parlato di “modifiche tacite al dettato costituzionale”.

Tuttavia la necessità di porre un rimedio strutturale a questa disfunzione non pare essere in cima alla lista delle priorità dell’attuale esecutivo come dei precedenti. Così come del resto non risulta al centro del dibattito pubblico.

Gli esponenti della maggioranza durante la campagna elettorale avevano annunciato la volontà di rivedere l’assetto istituzionale del nostro paese. Le proposte messe sul tavolo sono molte e molto diverse tra loro. Attualmente però una proposta di riforma in questo senso non è stata ancora presentata.

Oggi quindi è impossibile capire non solo se una tale riforma riuscirà effettivamente a vedere la luce ma anche se e in che misura questo progetto affronterà il tema del monocameralismo di fatto.

[La foto utilizzate sono state diffuse con licenza creative commons sul sito web del governo italiano]

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