Carla Accardi: artista versatile, portavoce della élite culturale del Dopoguerra

Il Palazzo delle Esposizioni, fino al 9 giugno 2024, ospita una mostra ricca di colore, di segni, di inventiva, per il centenario della nascita della pittrice Carla Accardi (Trapani 1924-Roma 2014).
Attraverso le scelte spesso radicali nello stile, teso in una continua evoluzione, questa fortunata artista ha contribuito all’affermarsi dell’astrattismo del dopoguerra, alla pittura-ambiente fino a un tipo di ‘segni simbolici’ ispirati alle istanze del femminismo.

Le cento opere esposte (dal 1946 al 2014) sono articolate in un percorso cronologico, che immerge il visitatore nelle varie metamorfosi di Accardi, testimoniate anche dalla documentazione fotografica relativa alla Biennale di Venezia del 1988. Si inizia dunque dai primi oli su tela (“Autoritratto”, 1946)  dove il volto di tre quarti o di profilo, che è volutamente ispirato all’autoritratto di Raffaello, mostra una donna determinata, aggressiva.


Il 1946 fu un anno proficuo non solo per l’originale definizione del segno, dove la radicalità del bianco e nero si alterna all’iridescente utilizzo del colore e alla rivoluzionaria scoperta della superficie di ‘sicofoil’, lastra plasticata dipinta e lasciata arrotolare.
Il 1946 segna, infine, una rivoluzione che si concluse con un viaggio a Parigi offerto dalla Federazione Giovanile Comunista (Carla Accardi fu iscritta al PCI dal 1947 al 1956) e con l’incontro con Renato Guttuso, Pietro Consagra, Gino Severini. Il gruppo maturò quindi la decisione di fondare una rivista, “Forma”, aperta dal seguente manifesto del 1947: «Noi ci proclamiamo Formalisti e Marxisti (…) convinti che i termini marxismo e formalismo non siano Inconciliabili”.

Uno sguardo dall’alto, si potrebbe dire, o meglio dall’alto dell’atelier della Accardi, a via del Babuino, immerso nella ‘dolce vita’ del reale potere culturale nella Roma di quegli anni. Vengono così realizzate le opere ispirate ai cardini di “contrasto” e “vitalismo” del bianco e nero: a proposito di “Arciere su bianco”, l’Artista scrive: “Solo attraverso la nozione della notte conosco il giorno, o attraverso la nozione del freddo conosco il caldo. Questi contrasti li esprimo nella mia pittura sovrapponendo il nero al bianco, o mettendo un circolo vicino a una forma contrastante. Il mio scopo è di rappresentare l’impulso vitale che è nel mondo».

Nei primi anni Sessanta, la Accardi approfondisce la ricerca di una dinamica di relazione (“Integrazioni”e “Labirinti”) realizzando le opere “Integrazione con grigio”, “Grande rettangolo rosso” e la variante “ Grande rettangolo grigio”, esplodendo il tracciato che diviene espressione dello strutturalismo dominante.
È il momento delle “Tende” realizzate dalla Accardi tra il 1965 e il 1971, l’ultima delle quali (la “Triplice Tenda”) fa parte della raccolta del Centre Pompidou; sono esposte anche due opere pensate come spazi abitabili: la “Casa labirinto” (2000) e il “Cilindrocono” (1972-2013), nonché l’installazione “Origine”.
Gillo Dorfles accolse il fortunato ritorno del colore – non privo di ambiguità nel continuo richiamarsi e invertirsi sulla tela o sui rotoli – chiamandolo “brillanza”, ovvero uno “stato di eccezionale luminosità”.
La mostra si conclude con le ultime opere, realizzate fino al 2014: “Vortice del vento verde”, “Ordine inverso” e “Imbucare i misteri”.

La celebrità di Carla Accardi, invitata dai maggiori musei ed esposizioni nel mondo, è stata una feconda combinazione tra talento e intuizione d’artista, sostenuta tuttavia di una élite che, dalla sua “Bastiglia” non volle vedere i primi germogli della rivoluzione sociale e culturale, nelle periferie, nelle imprese, nella scuole, nei “Ragazzi di vita”. Pasolini, nel club, non aveva posto. Troppo “Arciere su bianco” sgradito ai padroni della ‘Cultura’?

(Le citazioni sono tratte dai pannelli della mostra e dal “Catalogo”, Ed. Quodlibet, 2024)

 

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