Sei n’accollo

Reso noto in tutta Italia dal vignettista Zerocalcare, l’accollo romanesco non si differenzia molto, per significato, dalla parola “accollo” usata correntemente in Italiano. Con la differenza che a Roma l’accollo ottiene una sua fisicità, una sua concretezza, un suo peso specifico e psicologico molto più tangibile.

“Accollare” per il dizionario Treccani, significa addossare un peso, un incarico, un obbligo e simili: m’hanno accollato un lavoro faticosissimo; vogliono accollare a me tutta la spesa. Quindi, accollarsi, assumersi un incarico, un obbligo: accollarsi un debito, una responsabilità; s’è accollata lei il mantenimento dei due nipoti.

Essere un accollo, dunque vuol dire essere un peso, un fastidio. Quando a Roma una persona viene definita così vuol dire che è pedante e assillante. Una persona che “s’accolla” ha la particolarità di attaccarsi a qualcuno e di essere sempre presente fisicamente, in modo asfissiante.

Per quanto riguarda l’etimologia della parola, è sempre il vocabolario Treccani che ci viene in aiuto, indicandoci come significato originare del termine “accollo” quello di: “carico che grava sul collo delle bestie o sul davanti di un veicolo a due ruote”.

Esistono però anche alcuni usi tecnici e specifici del termine: in architettura si definisce accollo “la parte di una costruzione che sporge in fuori, che aggetta dalla linea del muro, sostenuta da mensole o altro”, mentre in diritto indica l’assunzione volontaria di un onere o di un contratto.

Dunque chi a Roma diventa un accollo, può essere paragonato a chi equivale a un pesante peso al collo. Ma c’è anche chi suggerisce un’etimologia diversa, assegnando alla parola accollo una storia differente, che parte dall’atto di “appiccicarsi”, cioè di “diventare come una colla”.

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